Aspettando DigiTalks 2024…
Emanuele Ferrabò e Alessia Perissinotto di Algoritma intervistano Francesco Sordi, Fonder di Surf the Market nel Webinar: “Prima del Digital: il Marketing come fondamento del Business”
DigiTalks è un evento in cui si parla di digitale, ma tu non parli di digitale: tu parli di qualcosa che è alla radice di tutto. Perché hai scelto di partecipare all’evento?
Parto dalla parola digitale per spiegare la motivazione che mi ha fatto scegliere di venire con entusiasmo, e a nome di tutto il Team di Surf the Market, all’evento.
A volte tendiamo a confondere la parola digitale e a prenderla come sostantivo, dimenticandoci che “digitale” è un aggettivo. Nel momento in cui togliamo il sostantivo e teniamo solo l’aggettivo, la domanda è: digitale cosa?
È marketing digitale, ma siamo talmente abituati a parlare di digitale che ci siamo dimenticati trattarsi di un aggettivo di marketing. Siamo talmente abituati a fare cose digitali che a volte dimentichiamo che esiste ed esisteva un marketing prima della digitalizzazione.
Oggi la digitalizzazione occupa uno spazio giustamente preponderante nei budget marketing delle aziende. Io non mi considero vecchio, ma ho visto quando i piani marketing non avevano nulla di digitale, poi hanno iniziato ad avere qualcosa di digitale e oggi siamo arrivati ad una spartizione del budget in maniera diversa.
È così preponderante, oggi, quella voce di budget che dobbiamo fare in modo che siano degli investimenti per il buon marketing delle aziende.
Quanto è difficile far capire alle aziende l’importanza di fare marketing strategico prima ancora di pensare a e-commerce, piattaforma, canali di vendita e di tornare alle fondamenta?
Per me, personalmente, è difficilissimo. Ho scelto fin dal 2005 di dedicarmi, in diversi modi e ruoli, al marketing strategico e volendo non occuparmi di marketing operativo. Anche quando ho deciso di fondare nel 2018 Surf the Market ho fatto una scelta posizionante abbastanza pazza nel pensare, in Italia, di occuparsi solo di marketing strategico senza toccare nessuna leva del marketing operativo. Oggi, a distanza di sei anni, posso dire di essere molto contento, così come posso confermare che è molto difficile mantenere una società focalizzata solo sul marketing strategico.
Il marketing combina due ingredienti che presi singolarmente sono neutri, ma che combinati insieme sono una miscela esplosiva: l’ignoranza e la presunzione.
In Italia c’è tanta ignoranza di marketing, ma questo non è un problema: ciascuno di noi è ignorante nel 99,9% dello scibile umano. Io personalmente, dei temi in cui Algoritma è ferratissima, ci capisco poco o niente. Il problema nascerebbe se io avessi la presunzione di venire a dirvi qualcosa riguardo al vostro lavoro o di poter pensare che la faccio da solo; ma lì c’è un limite tecnico che consente di marcare la differenza tra chi è davvero professionista e chi non lo è.
Nel marketing questa cosa non avviene: tutti pensano di fare marketing perché non abbiamo capito davvero che cosa sia questo “marketing” e anche la tripartizione tra marketing strategico, marketing analitico e marketing operativo siamo ancora lontani dal concepirla.
Se chiedo in un’azienda “Ma tu ti occupi marketing?”, la risposta molte volte è “Sì”, ma magari il 99,9% è marketing operativo. Così come quando chiedo “Avete una strategia?” e la risposta è “Certo!”, ma non saprebbero rispondere in merito a cosa intendono per avere una solida strategia.
Non voglio criticare le aziende o le persone di marketing che fanno fatica a fare marketing strategico. È capitato anche a me, nel mio passato in azienda nel ruolo di Responsabile Marketing, di entrare per occuparmi di strategia e trovare ad occuparmi, per i primi mesi, di pura operatività, tanto da dovermi trovare degli spazi quasi di soppiatto per potermi dedicare davvero a quello per cui ero stato assunto.
Cosciente di questo, mi piace pensarci a supporto dei marketing manager, perché le aziende sono dei frullatori, la sindrome del criceto nella ruota che corre tutto il giorno ma poi sembra che non vada da nessuna parte.
Mi piace pensare che, al di là del marketing scientifico, Surf the Market possa rappresentare quell’occasione, quello spazio e quel momento per prenderti quell’attenzione che il marketing strategico merita. Tentiamo di dare più ruolo all’importante più che all’urgenza, mentre si tende a dare più ruolo all’urgenza che all’importanza.
Domanda esterna:
Buongiorno, per un’azienda che non ha mai fatto marketing, quali potrebbero essere due attività strategiche da considerare per iniziare a strutturare il nuovo dipartimento marketing?
Non è vero che quell’azienda lì non ha mai fatto marketing, non l’ha mai fatto consapevolmente.
Ogni azienda ha dei prodotti o dei servizi, in qualche modo li comunica, anche solo attraverso le persone che li presentano.
Hanno scelto un prezzo da dare ai propri prodotti e servizi, hanno scelto dei canali di vendita, in modo da farli arrivare nella disponibilità dei clienti. Se proprio non è una startup dove ancora tutto è nella testa del fonder, quell’azienda HA già fatto marketing, perché ha gestito le 4 leve del marketing: prodotto, prezzo, promozione, distribuzione.
Ma magari non l’ha fatto in maniera ordinata e strutturata e chiarita all’interno del team. Questo per me deve essere chiaro: fare marketing è fare meglio con più consapevolezza, più direzione e più solidità analitica quello che le serve per stare sul mercato. Perché marketing, lo ricordiamo, deriva da “to market”, vale a dire tutto l’insieme delle attività che connettono l’azienda con il suo mercato.
Quindi, se l’azienda si trova in questa fase evolutiva, vuole un po’ alzare l’asticella, il livello per riuscire a fare di più con meno o con più risorse, partirei dall’analisi: ascoltare il mercato, ascoltare i clienti, analizzare i concorrenti, per poi focalizzare e scegliere.
Questo è marketing strategico: avere la possibilità di scegliere su cosa concentrarsi e focalizzarsi per poi mettere giù un action plan davvero efficiente. E poi da lì si cominciano a fare una cosa. Zero ansia di fare le cose e più volontà di fermarsi e fare le cose.
A volte è difficile, perché richiama anche certi aspetti legati alla gestione dell’ansia personale, ma in cui dobbiamo affilare l’ascia se vogliamo davvero che la nostra azione sia efficace.
Facciamo l’esempio di un’ascia: a volte ci accaniamo a voler buttare giù l’albero aumentando il numero di colpi, ma se non affiliamo la lama non funziona. È contro-intuitivo pensare che, invece di continuare a colpire, meglio fermarsi, affilare, per poi dare meno colpi, ma in maniera più efficace.
A noi succede, anche quando parliamo di aspetti più operativi come lo sviluppo di una piattaforma o di un e-commerce, di fermarci per dedicarci all’analisi e capire cosa ha funzionato, cosa migliorare. Ci sono dei segnali che, durante la fase di analisi e di strategia, ti suggeriscono che potrebbe essere necessario un cambio di rotta rotta?
Assolutamente analogo il meccanismo e deve essere proprio così, by design, il flusso analisi, strategia e pianificazione di marketing, soprattutto in un contesto così caotico come quello odierno.
Da lì nasce la metafora del surf di Surf the Market: il surfista riesce a fare una cosa meravigliosa, stando in equilibrio su una tavola liscia e bagnata, a cavallo di un’onda che lui non vede e non controlla e non è mai uguale a sé stessa o alla precedente.
Come fa? Riesce a vincere un piccolo paradosso: riesce a mantenersi stabile adattandosi continuamente, modificando la sua postura. Fuor di metafora significa che dobbiamo sempre avere un set di alert e di KPI che ci dica se siamo più o meno a cavallo dell’onda, ma non possono essere le KPI classiche del sales, quanto stiamo vendendo. Certo che ci sono anche quelle, ma debbono essere anche KPI da small data e consumer Insight, dati relativi al percepito del mercato.
Le azioni di conversione, arrivano dopo che c’è una percezione, un ragionamento all’interno della testa del nostro interlocutore – B2B come B2C – quindi prima riusciamo ad intercettare questi dati di percezione, più riusciamo a precedere dati di azione. Quando ormai abbiamo una KPI comportamentale che ci dà bandiera rossa, lì è tardi. Se invece noi riusciamo ad avere un monitoraggio di dati di carattere percettivo, riusciamo ad intervenire.
Questi dati possono essere costantemente monitorati: l’analisi sì che è finita, si inizia a fare la strategia e la pianificazione, ma continuiamo ad avere uno sguardo attento per monitorare i cambiamenti, perché tutto è incerto tranne il fatto che qualcosa cambierà. L’incertezza è l’unica certezza. Per questo noi parliamo di analisi dinamica o “Ongoing Analysis” che ci porta, iterativamente, a fare analisi scontenti per ottimizzare la posizione dell’azienda sulla sua tavola, ovvero nel suo mercato.
Secondo te quali sono i segnali che la strategia che si sta impiegando è errata o che servono dei cambi di rotta?
La risposta da professore universitario è: dipende.
Che è vero, in quanto dipende dal settore, dal contesto, dai target, dalla strategia, etc. Da titolare di una società di consulenza dico che, più o meno, gli small data da attenzione sono: quanto è lungo il periodi di latenza decisionale, tra il primo contatto e l’acquisto. Più è ampio, più vuole dire che c’è qualcosa a livello di posizionamento che non riusciamo a sciogliere. Il brand serve ad accelerare il percorso di acquisto, serve a vendere di più ad un prezzo più alto in minor tempo. Se vediamo che si allarga il tempo decisionale, se notiamo una certa pressione sulla leva del prezzo, perché c’è anche un tema concorrenziale, allora vuol dire che abbiamo perso un po’ di valorizzazione, di distintività.
Se non abbiamo chiaro il posizionamento, cioè la risposta alla domanda: perché dovrei comprare te esattamente, visto che non sei l’unico che produce questa roba (e questo vale sia per uno store fisico che virtuale)? Se non abbiamo una risposta a questa domanda o non è supportata da dati, l’ultimo dei nostri problemi sarà come sviluppiamo la UX/UI o il bottone della CTA. Non possiamo concentrarci su questi elementi di dettaglio, di certo importanti, ma successivi, se non abbiamo tolto dalla stanza quell’elefante che è la domanda “perché dovrebbero comprare proprio da te?”. Ecco, questo per noi è fondamentale.
Più volte è uscita nelle tue risposte l’importanza di non pensare al marketing come un ufficio, un ruolo a sé stante, ma fluido e in connessione con gli altri reparti aziendale. Sembra quasi scontato, ma non lo è. Come vedi la figura del marketing manager in futuro, con il marketing digitale che incalza veloce, con il mondo che cambia così velocemente, e quindi la necessità di evolvere rapidamente?
Ti dico come la sogno, mi limito a questo: io sogno di funzioni marketing sempre più strategiche e meno operative, che riescono a separare marketing strategico e marketing operativo, in due funzioni diverse e persone diverse. È il primo consiglio che diamo in qualunque azienda. Proprio perché io non sono riuscito a farlo in azienda quando è toccato a me. Quindi, se ci sono due funzioni in un ufficio marketing, preferirei che una si occupasse di marketing strategico e l’altra di marketing operativo.
Voglio immaginare un marketing che sia più capace di stare nella stanza dei bottoni e che sia meno legato a singoli progetti. E parlando di singoli progetti, il marketing non è una funzione, ma un processo, non è un contenitore di progetti. Così perdiamo la visione di processo e di quello che viene prima e dopo il marketing. Rischiamo di creare una sorta di pettine con solo denti verticali e senza una competenza orizzontale, che quindi cadono o generano delle inefficienze incredibili. Ecco, quindi sogno un marketing capace di essere sempre più strategico, direzionale, processuale, che tenga insieme le diverse verticalità interne ed esterne.
Quanto e-commerce manager e marketing manager sono professionalità diverse?
La risposta da professore, in questo caso, la confermerei anche da consulente: nel caso in cui l’azienda abbiamo un business iper concentrato sull’e-commerce, allora vedo anche con un pizzico di pragmatismo, la convivenza di queste due figure in una unica persona. Ma se così non fosse, non lo vedrei di buon grado, perché il rischio è prendere una parte per il tutto e dire: marketing = gestione dell’e-commerce.
E chi pensa allo sviluppo dei prodotti, al riposizionamento eventuale, dell’analisi del percepito degli interlocutori, al pricing insieme a sales? Non è che deve fare tutto il marketing, ma il marketing deve stare ai quei tavoli di lavoro. Ma se il mio FTE (Full Time Equivalent) è drenato dalla gestione dell’e-commerce, non posso fare altro, rischierebbe essere polarizzante.
Seppur oggi il ruolo dell’e-commerce manager è determinante in quelle aziende in cui l’e-commerce ha un impatto importante in quelle aziende in cui quel canale ha un grande impatto sul conto economico. Troppe volte la scelta delle persone è basata sulle competenze tecniche, dimenticando che l’e-commerce è il flagship store dell’azienda, il luogo in cui deve massimizzarsi la customer Experience del brand in un luogo digitale. Tu entri in un mondo in cui è il brand a parlare, attraverso i prodotti, il prezzo da giustificare attraverso un posizionamento, dove ci sono mille stimoli comunicativi. C’è tutto il sistema marketing condensato in quell’ambiente, dove la scelta della piattaforma è imprescindibile e intangibile, ma dobbiamo prima aver concepito la Customer Experience e con che idea di noi vogliamo che esca, ma anche con la corretta idea del nostro posizionamento.
È quello che lo porterà magari a tornare anche se non ha comprato la prima volta, magari facendo un largo customer journey e magari in qualche punto convertirà.