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Basta poco per confondere il mercato e lasciare perplessi i consumatori. Basta un prodotto fuori posto per far cadere il castello costruito nella mente dei clienti. 

Diventa necessario mettere ordine e distinguere le diverse proposte dell’azienda per salvaguardare il proprio posizionamento. Per farlo, dobbiamo lavorare sull’architettura di brand.

Ancora oggi non viene dedicata la giusta attenzione all’organizzazione dei diversi marchi di un’azienda. Quando un’impresa cresce e vuole mettere sul mercato un nuovo prodotto o un nuovo servizio la domanda che saltella nella testa è sempre la stessa: che relazione creo con il brand esistente? 

Si risponde a questa domanda fermandosi ai ragionamenti interni, provando a immaginare i collegamenti più assurdi e fantasiosi. Tutto sembra filare liscio sulla carta, tutto è coerente finché rimaniamo dentro il nostro ufficio. Si esclude (come sempre) il protagonista principale che ci aiuta a rendere tutto cristallino eliminando la confusione: il cliente. 

Sì, anche l’architettura di brand è un’attività che si fa mettendo il cliente al centro.

Cosa si intende per architettura di brand?

L’architettura di brand può essere definita come la modalità con cui l’azienda organizza tutti i suoi marchi attuali e futuri (e le loro relazioni) in modo da mantenere le percezioni desiderate nei confronti dei consumatori. 

Un po’ come quando avete i parenti a cena e dovete capire chi far sedere vicino e chi tenere a debita distanza. È un’operazione che mira a capire come far interagire i vari soggetti senza creare disastri. 

Generalmente esistono tre tipologie di strutture che le aziende possono adottare. 

Visto che non amo molto i termini inglesi ho associato ad ogni tipologia una sorta di sottotitolo per fissare meglio il concetto. 

Vediamole insieme.

Branded House – Uno per tutti

Sotto al brand “madre” dell’azienda vengono agganciati in modo unificato tutti i prodotti/servizi. È il caso di BMW, Fedex e Google. 

BMW: BMW Auto, BMW Motorcycle, BMW serie 1, serie 2, BMW X6 ecc.

Fedex: Fedex Express, Fedex Office, Fedex Ground ecc.

Google: Google Maps, Google Drive, Google Pay ecc.

In questa configurazione è importante la presenza di una coerenza valoriale tra le diverse attività del business. 

Uno dei principali vantaggi di questa impostazione è che si favorisce l’estensione del brand portfolio grazie alla notorietà del brand principale, e questo riduce molto i costi di lancio dei nuovi prodotti (una forte comunicazione del brand madre ricade a cascata sulle estensioni). 

Gli svantaggi sono invece la limitazione delle possibilità di differenziazione, di targettizzazione e il rischio di indebolimento dei caratteri distintivi del brand. Inoltre un prodotto che ha poco successo può indebolire il resto del sistema.

House of brand – Tutti per uno

È la strategia completamente opposta a quella precedente. Per ogni prodotto/servizio viene creato un brand autonomo con un’identità distaccata dall’azienda madre. 

Il gruppo Procter & Gamble ha fatto scuola da questo punto di vista: Gillette, Swiffer, Pampers, Dash, Pantene, Lenor ecc.

Il vantaggio di un approccio di questo tipo è la capacità di raggiungere segmenti di pubblico e mercati diversi con una raccolta di proposte di valore specializzate. Lo scopo di solito è quello di chiudere il mercato alla concorrenza esterna. 

È sicuramente però la strategia più costosa, perché ogni marca ha bisogno di essere spinta.

Endorsed brand – Se stiamo insieme ci sarà un perché

In questo ultimo caso ogni prodotto possiede una propria identità, ma si appoggia in modo più o meno diretto al Brand Corporate.

Virgin, Barilla, Kellogg’s e Marriott sono degli esempi calzanti. 

Questa architettura consente un buon grado di differenziazione nel portafoglio prodotti, mantenendo coerenza nella proposta dell’azienda (grazie al legame con il brand madre)

Essendo un ibrido la strategia deve essere curata attentamente altrimenti una perdita di immagine di qualsiasi prodotto/servizio arriverebbe subito al brand principale.

Come si crea un’architettura di marca che vada a vantaggio sia della tua azienda che dei tuoi clienti?

In primo luogo, non complicandola eccessivamente. Lo scopo dell’architettura di brand è rendere le tue offerte più chiare, non più contorte.

Ovviamente non c’è una risposta unica e definitiva per tutti. La struttura ideale non esiste, dipende tutto dalla percezione dei clienti. Che associazione scatta nella mente delle persone quando vedono o sentono il tuo brand attuale? Il nuovo prodotto o servizio che percezione suscita? In linea con quella attuale oppure c’è incoerenza percettiva? 

Si parte sempre dall’analisi del percepito dei clienti per poi elaborare l’architettura più corretta. Solo con la ricerca puoi sapere come il tuo pubblico comprende (o non capisce) le tue offerte chiave. Non dimentichiamoci che deve essere coerente e deve avere senso per il cliente, non per l’azienda. 

Un esempio può essere il caso Toyota. La multinazionale giapponese voleva espandersi nel mercato delle auto di lusso. Poteva scegliere tra le tre tipologie di strutture che abbiamo visto prima. Alla fine ha creato un nuovo brand, completamente autonomo dall’azienda madre: Lexus. 

Perché questa decisione è stata vincente? Perché il brand Toyota nella testa delle persone è lontano dal concetto di auto di lusso. Portare Toyota nel mercato di alta gamma avrebbe creato un cortocircuito percettivo. 

L’architettura di brand è sempre rivolta all’esterno, non è un’attività legale o organizzativa. 

Cosa avrebbe più senso per i tuoi clienti? Capiamolo insieme!