Skip to main content

Sentir parlare di intelligenza emotiva da chi si occupa di marketing scientifico può sembrare strano, bizzarro quasi. Questo perché il termine “scientifico” riconduce ad aspetti e argomenti esclusivamente tecnici, razionali, freddi. C’è però un ingrediente essenziale nel nostro approccio che permette la buona riuscita dei progetti: l’human touch.

Siamo scientifici e rigorosi nel nostro metodo, ma non siamo solo dei tecnici. Il nostro è un lavoro soprattutto di relazioni, di emozioni, di sfumature umane. Le aziende infatti non sono un’entità astratta, priva di sentimenti, sono fatte di persone che hanno la loro soggettività, il loro universo interiore. Trascurare questa dimensione emotiva non ci permetterebbe di impattare in maniera decisiva sul futuro dell’azienda. Non possiamo limitarci a dire «ho fatto il mio dal punto di vista tecnico», abbiamo il dovere di mettere in sicurezza i progetti, di essere trasformativi.

Quando iniziamo una consulenza siamo consapevoli che il nostro intervento porterà inevitabilmente a modificare e alterare gli equilibri interni dell’impresa. Se non siamo in grado di essere empatici, di capire le emozioni di chi ci sta intorno, tutti i nostri sforzi saranno inutili.

Le nostre mere conoscenze “tecniche” non bastano, abbiamo bisogno di qualcosa di più profondo per innescare il cambiamento.

La logica fa pensare, ma sono le emozioni che fanno agire.

Possiamo aver realizzato su “slide” il miglior progetto di marketing scientifico, ma diventa tutto effimero se l’imprenditore non ha il coraggio di intraprendere la direzione consigliata. Solo se siamo in grado di toccare le corde emotive delle persone intorno a noi, saremo in grado di cambiare loro la vita. Per fare questo c’è bisogno di intelligenza emotiva.

 

Che cos’è l’Intelligenza Emotiva?

Daniel Goleman definisce l’intelligenza emotiva come “la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.”

Le persone che sanno riconoscere le proprie emozioni oltre a saper mettere in atto comportamenti più funzionali alle situazioni sociali, riescono ad essere più empatiche verso gli altri, riescono a capirli, a mettersi nei loro panni.

Chi è dotato di intelligenza emotiva è in grado quindi di:

  • riconoscere le proprie emozioni e i propri limiti
  • controllare i propri stati interiori
  • motivare sé stesso
  • riconoscere le prospettive ed i sentimenti altrui
  • comunicare efficacemente, gestire e influenzare le emozioni altrui

 

Perché è così importante oggi coltivare l’intelligenza emotiva nelle aziende?

Per rispondere a questa domanda è necessario inquadrare il contesto in cui si muovono le imprese, ovvero la società.

Secondo il filosofo Umberto Galimberti ci troviamo nell’età della tecnica.

Contrariamente a come possiamo immaginare, la tecnica non ha a che fare con la tecnologia (software, programmi ecc.), la tecnica rappresenta la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo.

E in cosa consiste questa razionalità? Consiste nel realizzare il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi.

Efficienza e produttività sono diventati gli unici “valori” con cui noi pensiamo e guardiamo il mondo. Siamo guidati e governati in base a questi due valori, ma non ce ne rendiamo conto.

Tutto ciò che esce fuori da questo scenario “tecnico” diventa un disturbo, tutto ciò che è sovrabbondanza, linguaggio non analitico, vita emotiva, mondi personali e vissuti psicologici sono forme di intralcio rispetto ai valori della tecnica.

In altre parole questa struttura fortemente razionale mette la soggettività e l’irrazionalità dell’uomo alla porta, prevale solo la prestazione.

Elogiamo il pensare, trascuriamo il sentire.

Questa prospettiva rischia di non farci capire più cosa è bello, cosa è vero, cosa è giusto, ma solo cosa è utile.

Anche se non ce ne accorgiamo ormai le nostre aziende sono invase da questo meccanismo, da questa assoluta razionalità.

Quando consideriamo solo le prestazioni dei nostri collaboratori/dipendenti che cosa stiamo facendo?

Quando consideriamo le persone come dei mezzi e non come un fine che cosa stiamo facendo?

Quando consideriamo i clienti come un ostacolo da superare per avere i loro soldi, quando pensiamo a loro come dei cluster che rispondono a degli impulsi automatici, quando li vogliamo infilare con forza in un imbuto, come ci stiamo comportando?

Quando abbiamo paura dei nostri colleghi perché se siamo meno produttivi di loro quelli che saltiamo siamo noi, che pensiero stiamo alimentando?

Quando dobbiamo attivare una procedura e non ci interessa chi la dovrà mettere in pratica perché è utile all’azienda, come stiamo ragionando?

Quando siamo responsabili solo dei nostri mansionari e non dei problemi di chi ci sta di fronte, quale meccanismo stiamo attivando?

Quando valutiamo i nostri “commerciali” in base a quanti clienti portano, a quanti contratti chiudono, che cosa stiamo facendo?

Se la tecnica cerca di mettere fuori gioco l’uomo, spetta alle emozioni e ai sentimenti riportarlo in partita.

Qui entra in gioco l’educazione sentimentale. È necessario far comprendere alle aziende l’importanza della competenza emotiva, prima ancora della competenza tecnica.

Per un imprenditore capire come parlare deve essere una priorità. Capire come comunicare con i suoi dipendenti, come sostenerli emotivamente deve essere un “must have”.

Lo stesso vale per un consulente marketing quando entra in un’azienda.

È necessario imparare la capacità di entrare dentro l’altro, ed è solo attraverso i sentimenti che questo processo è possibile.

Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto diceva Aristotele. 

Per fortuna nel mondo del business ci sono esempi incoraggianti nei quali il “sentire” ha vinto sulla razionalità della tecnica. 

Ho salvato tra i preferiti questo articolo del 2019 relativo all’azienda Patagonia.

Yvon Chouinard, il fondatore, ha preso la decisione di non produrre più gilet personalizzati in co-branding con le società di Wall Street perché queste ultime hanno a cuore solo speculazioni e bonus e non la salvaguardia del pianeta.

In questo caso le logiche economiche e razionali sono state battute dal fattore umano e dall’altruismo.

Ci vuole coraggio per assumersi il rischio di una perdita economica in nome di un gesto ad alto impatto umano. Ci vuole coraggio per rinunciare a una fetta importante di business per onorare i propri valori.

Yvon ha dovuto guardare dentro di sé, ha dovuto entrare in contatto con le sue emozioni, ascoltarle e usarle nella sua vita, anche quando era difficile farlo.

Oggi riuscirà a prosperare e generare valore per sé e per i gli altri chi sarà disposto a compiere gesti coraggiosi. E il coraggio si impara, attraverso l’educazione sentimentale.