Internal Branding, ovvero la ricerca del senso di essere squadra e la costruzione di una nuova consapevolezza collettiva.
Come facciamo a motivare le persone a lavorare con noi se non sappiamo davvero che cosa le motiva?
Di Francesco Sordi, Founder di Surf the Market
Articolo pubblicato su “Visioni d’impresa. L’azienda come laboratorio sociale.” di Confindustria Novara Vercelli Valsesia. Trovi l’articolo a pagina 48 del N. 3 | 2024.
Che cosa ci tiene uniti e ci rende orgogliosi di lavorare insieme, nonostante le differenze e le difficoltà? È questo il cuore di ciò che chiamiamo Internal Branding ed è il centro nevralgico di ogni azione di marketing e comunicazione interna, così come di ogni piano di crescita lato HR.
Su questo tema marketing e HR sono chiamati a lavorare fianco a fianco al fine di valorizzare, difendere e diffondere quel valore prezioso e unico connesso alla cultura e all’identità aziendale a favore dei collaboratori di oggi e per attrarre quelli di domani.
Ogni azienda presenta al proprio interno delle differenze e delle difficoltà: è ovvio, normale, sano. Personalmente, non concordo né con la visione di chi sostiene che la fatica sia un valore in sé, né con chi la demonizza e cerca di mantenere un continuo stato di comfort. Credo, invece, che ci sia un’enorme differenza tra una fatica fine a sé stessa e una fatica orientata verso uno scopo, una visione, un ideale. Quando la meta è desiderabile, la fatica fa parte della soddisfazione per raggiungerla.
Ecco ciò che manca in tante, troppe aziende: qual è la meta del nostro buon lavoro insieme? Qual è la “motivazione”, ovvero ciò che, letteralmente, ci “muove all’azione”? Non sono i soldi, diciamolo subito (non posso qui approfondire, se vi interessa consiglio Drive di Daniel Pink).
Come facciamo a motivare realmente le persone a lavorare o a venire a lavorare con noi se non sappiamo davvero cosa le motiva?
Questo paradosso si presenta molto spesso e infatti siamo pieni di azioni di welfare, formazione, wellbeing calate dall’alto e non apprezzate realmente dai collaboratori; siamo pieni di messaggi di comunicazione che gonfiano l’orgoglio di chi li scrive ma che non scaldano davvero il cuore né solleticano la mente di chi li legge.
Immagina invece per un attimo di avere un documento di sintesi che poggia su un’ampia, profonda e solida indagine quali-quantitativa sul percepito interno dei collaboratori. Immagina che in questo documento di sintesi ci siano:
- Il proposito evolutivo (chiamato purpose o scopo)
- L’employer value proposition: che tipo di esperienza e valore l’azienda promette ai suoi collaboratori, per rispondere alla fatidica domanda “Perché dovrei venire a lavorare da voi?”.
- Le employee personas, ovvero la descrizione delle motivazioni e delle soft skills da ricercare e valorizzare perché le persone possano davvero dare il loro meglio nella nostra organizzazione;
- I messaggi chiave a fondamento di tutta l’attività di employer branding.
Ecco, ora immagina quante idee ti possono venire in mente, quanti piccoli e grandi cambiamenti sarebbe possibile apportare al modo di comunicare, quanto si potrebbe essere più efficienti nel progettare e proporre azioni per la crescita personale e di team, che diverso tipo di dialogo e interazione si instaurerebbe con i collaboratori, affiancando alle metriche classiche che di solito utilizziamo per condividere i risultati (fatturato su tutte) la visione rispetto all’avvicinamento alla meta valoriale e motivante.
Se ora il tuo sguardo è rivolto alla meta che ti attrae, preparati alla fatica.
La prima è legata al modo di pensare: comprendere e accettare che sono le persone a fare le aziende, non la partita iva, non le quote societarie.
Immaginiamo un’azienda nella quale, dall’oggi al domani, cambiano tutte le persone che vi lavorano. Manterrebbe intatta la compagine societaria, la partita iva, il codice ateco, lo statuto e quant’altro, ma potremmo davvero dire che si tratta della stessa azienda del giorno prima? Personalmente propendo per un chiaro “no”.
Se procediamo sul solco di questo ragionamento, allora, dobbiamo anche accettare che i valori e lo stile aziendali dipendono dai valori e dallo stile delle persone. Da tutte, non solo da quelle che si collocano nella parte apicale degli organigrammi. Ciò significa che non possiamo ragionare di Internal Branding standocene a discutere nella stanza dei bottoni.
Seconda fatica: i valori e le motivazioni non si possono inculcare da fuori. Hai presente gli incontri motivazionali dal tipico stereotipo dove una persona sul palco aumenta l’hype della platea fino a farne esplodere l’emozionalità? Il lunedì mattina è tornato tutto come prima, non è cambiato nulla. Ecco, di questo stiamo parlando: della differenza tra l’effimera motivazione etero-diretta e la fondamentale motivazione auto-indotta. Qualunque progetto di allineamento delle persone ai valori aziendali è quindi fallimentare in partenza.
Se siamo pronti ad affrontare queste prime due fatiche, la terza, quella tecnica, ci sembrerà decisamente più affrontabile. Partire dall’ascolto significa far emergere dati di percezione sui quali fondare le scelte strategiche aziendali attraverso un’indagine qualitativa di profondità capace di indagare:
MOTIVAZIONI: cosa ci scalda il cuore, cosa ci fa sentire davvero realizzati.
FATTORI DI RILEVANZA: quali sono gli aspetti ritenuti più e meno importanti per costruire un ambiente di lavoro capace di liberare pienamente il potenziale individuale e di gruppo;
VALUTAZIONE AZIENDA: in cosa l’azienda è particolarmente brillante, in cosa potrebbe o dovrebbe migliorare;
DISTINTIVITÀ: cosa rende unica questa azienda, cosa la rende diversa rispetto ad altri contesti conosciuti;
PERSONAS: quali sono le caratteristiche individuali fondamentali perché una persona possa trovare nella nostra azienda le condizioni per fiorire.
Ovviamente, nelle grandi organizzazioni non possiamo pensare di condurre un’intervista di profondità all’intera popolazione aziendale: in questo caso entra in gioco l’indagine quantitativa realizzata tramite questionario. Il questionario andrà scritto e articolato in funzione delle evidenze analitiche emerse nella precedente fase di indagine qualitativa.
Il dato, però, è condizione necessaria ma non sufficiente. Oltre ai dati dobbiamo aver definito con chiarezza i cosiddetti “algoritmi decisionali”, ovvero i criteri per giungere a rispondere in modo circostanziato e condiviso alle tante domande di ricerca che abbiamo sin qui disseminato rispetto a temi quali valori, scopo, employer value proposition, employee personas, ecc.
Facciamo un esempio su tutti, pensiamo al tema dell’employer value proposition: che esperienza promettiamo a chi lavora con noi? Essa va individuata attraverso l’incrocio di tre analisi: quelle relative ai fattori di rilevanza, alla valutazione aziendale e alla distintività. Sono tre delle cinque aree oggetto dell’indagine qualitativa, ricordi?
Ebbene: qual è il fattore che si dimostra al tempo stesso particolarmente rilevante per le persone, soddisfatto dall’azienda in modo ritenuto maggiore rispetto ad altre realtà conosciute? Ecco questo fattore così prezioso e strategico, che nel nostro lessico assume il nome di “Fattore X”, sarà quello su cui, mattone dopo mattone, costruiremo l’intera proposta di valore.
Una proposta di valore fortemente identitaria, posizionante. Perché nessuno si aspetta che l’azienda sia perfetta in ogni aspetto per chiunque. Ciò su cui fondiamo il nostro brand interno deve essere così ingaggiante e motivante da compensare le fatiche, le naturali lacune, le inevitabili cadute. Deve ispirare, allineare, deve far battere il cuore. Deve dare la voglia di dare il meglio di sé, di provarci, di uscire dalla propria zona di comfort, di rischiare, di affrontare conversazioni scomodo e costruttive, di affrontare la propria vulnerabilità.
È un percorso che alla fine porta tutti a vincere: persone e azienda.
Perché, in fondo, tutte le persone cercano di dare senso alla propria vita e per tutti il lavoro è parte integrante e importante di essa. Perché le persone che sembrano invece voler lavorare solo per fare il proprio dovere da contratto, per uscire appena possibile ed esprimere sé stesse solo al di fuori del lavoro, in realtà non lo pensano davvero; sono solo persone fortemente deluse e disilluse dalle esperienze che hanno vissuto.
Sul valore per l’azienda non credo servano molte parole: chi non vorrebbe persone così coinvolte e ingaggiate? Come non comprendere l’impatto che può avere in termini di spinta all’innovazione diffusa, alla cura del cliente, alla proattività in generale? Non si tratta di una meta utopica dove tutto fluirà incredibilmente bene, sempre e comunque.
Siamo realisti! Diminuiranno le differenze e le divergenze d’opinione? No e per fortuna! Diminuiranno o spariranno le fatiche? No! Ma avremo dalla nostra parte una nuova, forte e dirimente consapevolezza, capace di ispirare l’agire individuale e collettivo. Avremo la risposta alla domanda da cui siamo partiti: che cosa ci tiene uniti e ci rende orgogliosi di lavorare insieme, nonostante le differenze e le difficoltà?